LEGGENDE NAPOLETANE
., fecit, 1753 E più nulla. Cioè no: sul Cristo morto, su quel corpo bello ma straziato, una religiosa e delicata pietà ha gettato un lenzuolo dalle
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seminascoste nei merletti, esse non abbracceranno con minore o diversa passione. Che importa una cifra? Tecla era bella. Il suo volto era di quel candore
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e malsana, fatta di caverne, sotterranei e cloache, dove potrebbero allignare simili rettili, da quel tempo sinora, mai più ve ne furono. Quando un
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compiaceva stringere quel cuore innamorato in una mano di ferro che lo soffocava a poco a poco e poi ridonargli la vita, carezzandolo con una mano
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misticismo: di quel misticismo che è la follia dell'anima, inebbriata omicida del corpo, di quel misticismo che è fede, pensiero, amore, arte
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, ha saputo quel che si faceva. Quello che sarebbero i napoletani, quello che vorrebbero, egli conosceva bene e nel dar loro la felicità del mare, ha
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la nascita del Cristo Redentore, un'isola larga e fiorita che veniva chiamata Megaride o Megara che significa grande nell'idioma di Grecia. Quel pezzo
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quantità di quel dolce formaggio che ha nome da Parma e si fabbrica a lodi. Cotta a punto la pasta, la separò dall'acqua ed in bacile di maiolica la condì
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ginocchio dinanzi al corpo della poveretta morente e copre di baci quel volto pallido d'agonia. Invero, egli fu così focoso in tale slancio, così patetica
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, strapparsi i capelli, poi rialzarsi e partire. Quelli che lo conoscevano, si dispiacquero di non vederlo più, di non udire quel suo grido che
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dagli occhi sgomentati. Per pietà di quel piccolo essere, le suore lasciarono la madre a nutrirlo e curarlo. Ma col tempo che passava, non cresceva molto
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Donna Romita era una singolare giovinetta, mezzo bambina. Così il suo aspetto: i capelli biondo cupo, corti ed arricciati, il viso bruno, di quel bruno